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Virus

  Giorno 13     Devo fare della mia solitudine un'opera d'arte.   13 giorni di inerzia, confusione, notizie contrastanti, incapacità di trovare uno stato d'animo   stabile. Questo virus non se ne andrà presto, ma è anche vero che non durerà per sempre. Ergo ho un periodo indefinito da usare in modo intelligente. Devo fare qualcosa di bello. Non posso riempire la mente solo di numeri, interviste, paure, stupidaggini dettate dalla voglia di esorcizzare il male. E non devo essere nemmeno troppo cinico, anche se il fatto di essere solo non mi aiuta.   Giorno 13 (bis) Iniziamo a preparare il campo: barba tutti giorni, mangiare seduti, cucinare, vestirsi decentemente. Prendere il sole la mattina, leggere. Sono anni che leggo poco. I fratelli Karmazov, inizio con loro. Non devo far passare un giorno senza sentire almeno un amico. Ogni opera d'arte deve avere la sua cornice.   Giorno 16 Fare della solitudine un'opera d'arte, chissà da dove
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Non aspettiamo nessuno, vero Elsa ? No. A dire il vero Elsa era  perennemente in attesa di qualcuno o, forse meglio, di qualcosa. Il viso, duro e rettangolare era immobile, gli occhi, piccoli e nocciola guizzavano irrequieti verso la linea dell’orizzonte. Elsa, siediti. No. Elsa e Valter erano sposati da tredici anni, non avevano figli e non avevano voluto sapere chi dei due non poteva averne. Elsa era una donna  di bilanci, di linee tirate sulla strada della sua vita, di cadute rovinose e ferite leccate a fatica, di  scelte prese nel torpore dei sensi o spinta da slanci scriteriati, e recriminazioni analizzate fino all’ultimo millimetro. Si era innamorata di Valter a ventisei anni, prima non aveva avuto nessun rapporto serio;  il suo sentimento aveva preso forma nella condivisione di ciò che non piaceva a tutti e due;  quello che detestava lui lo detestava anche lei, questa corrispondenza la affascinava. Puntino dopo puntino, come in un gioco da gior

Kebab

Mi brucia lo stomaco, ieri sera ho mangiato troppo. Non ho voglia di alzarmi dal divano. Ho voglia di annegare nel buio e nel silenzio. Il citofono suona, non rispondo. Risuona, cazzo !  Suona ancora, ancora. Chì è ? Ci metto tutta l’antipatia che ho in dotazione. Sono Roberto, Paola apri ! Porca troia !, Stamattina devo vedermi con lui. E’ vero, l'ho cancellato dalla testa.!  Ieri  mi ha chiesto se volevo fare una passeggiata nei boschi. Lo faccio salire e gli dico che non andiamo, capirà. Sdraiata sull’erba guardo il cielo attraverso i rami di un albero. Le cosce sono  indurite dalla salita e dalla notte insonne. Bello, vero Paola ? La temperatura è perfetta. - Roberto sorride sincero. Sì. E tu volevi startene a casa,  meno male che ti ho trascinata fuori. Quando non sto bene faccio come gli animali, mi nascondo. Piantala non rompere.- Roberto è l’unica persona a cui permetto di dirmi cosa devo fare. -  Dai  raccontami del

Il professore

Il dottor Oskar, medico chirurgo, padre di due figli, marito di Marta, presidente del golf club di Lubecca, disse : “ E’ un caso rognoso.”   Helen, segretaria , infermiera, madre di Franziska, senza marito, amante di Oskar, aprì la porta della studio : “Venga professor Bernhard”. Il professore entrò, lo sguardo a vagare nella stanza, il passo spedito seppur caracollante. Dopo aver salutato agitando le braccia posò la borsa di pelle scolorita per terra e si sedette. “ Allora, ho letto la sua lettera”. Disse il dottor Oskar. “Ho delle domande da farle.” “ Prego, ” Rispose il professore. Si guardarono dritti negli occhi. “ Cosa intende per materia callosa?  E’ sicuro che ha assunto lo stato di callosità ? Questo è un termine medico, chi glielo ha suggerito?” Il professore si sentì sfidato, i medici non gli piacevano; lui professore di lettere spesso aveva colto un senso di superiorità nei dottori in medicina. “Sento in prima persona, senza che nessuno me l’abbia sugge

.....riprendo

L’unico  peccato imperdonabile è non essere felici, chissà perchè gli era venuta in mente quella frase, l’aveva sentita dire decine di volte dalla  sua professoressa di filosofia del liceo.  Farsi assumere come cameriere su una nave da crociera  poteva essere un’occasione per stimolare la sua voglia di felicità. Si mise a ridere da solo. La porta a vetri si aprì, Nico entrò nella hall dell’hotel. Forse l’unico vero peccato è parlare di felicità, e la sua professoressa di filosofia ne era la prova,  aveva i segni della tristezza stampati sul viso. Era in anticipo di un quarto d’ora sull’orario di inizio del  colloquio. Si guardò intorno, vide un foglio bianco appiccicato ad una parete con la scritta “colloquio bea s.r.l.  secondo piano”, e una freccia nera ad indicare la direzione. Salì le scale, non ricordava il nome della società, ricordava solo il nome della nave da crociera, si chiamava  Dottor Doolittle. Raggiunse il secondo piano , trovò un altro foglio bianco sulla parete